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Giliberto, 1967
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Trapiantato in Friuli da sei anni, il veneziano Albino Lucatello espone per la prima volta, in una nutrita personale, oltre venti dipinti recenti e meno recenti. A rileggere le sue note biografiche (230 mostre collettive in Italia e all’estero, premio Tursi alla Biennale di Venezia, ventuno rassegne personali, decine e decine di opere entrate in musei d’arte moderna e nelle case di collezionisti italiani e stranieri) vien da chiedersi come abbia potuto star quieto, qui da noi, per tanto tempo. E per quali ragioni soltanto ora — con il tramite del Circolo bancario udinese che ha il merito di aver allestito la sua bella mostra — si sia deciso a mettere la testa fuori di casa (vive a Tarcento e insegna all’Istituto d’arte udinese) per farsi conoscere dalla gente di questa terra. Una terra della quale si è innamorato, lo dice come una confessione: si tratta di un sentimento che si riflette nei suoi dipinti degli ultimi anni.
Ma la verità è che Lucatello è pittore schivo, tutt’altro che diplomatico, nell’accezione che oggi si dà al termine per indicare chi sollecita consorterie, dialettiche o commerciali che siano. E che questo sia suo modus–vivendi, lo conferma, indirettamente, anche Diego Valeri, che presenta la mostra, scrivendo: Egli non ha mai ceduto a impulsi, tanto meno obbedito a comandi, venuti da fuori. Non per superbia o protervia, certo; ma per bisogno di assoluta sincerità verso se stesso e verso gli altri.
La pittura di Lucatello, dunque, prima di tutto è un atto di estrema chiarezza. I dipinti esposti nelle sale del Bancario, non si possono distogliere, ciascuno, dai paesaggi che li hanno suggeriti. Le opere che rimandano alle impressioni suscitate dalla tormentata terra del delta padano sono le più ordinate, compositivamente. Qui, il tentativo di raggiungere il più alto rigore formale nuoce, forse (ancorché serva la piacevolezza d’impianto) alle condizioni spirituali che, alla base, l’avevano sollecitato: l’interesse dell’artista, cioè, per gli squarci e i sommovimenti di un suolo tormentato dalle stesse forze della natura.
Ma le opere più recenti, che alla mostra sono la maggior parte, superano anche questa condizione. Si direbbe che il contatto con il Friuli abbia mutato il temperamento di Lucatello, o meglio sia avvenuta in lui una sorte di adeguamento a quelle forme e a quei colori che sappiamo egli predilige e cerca, in lunghe evasioni fra i colli del Cividalese, o verso le Prealpi carniche o attorno alla sua Tarcento. Lucatello non chiede soccorso, in verità, al profilo reale delle cose. La sua è pittura trasfigurata, pittura illimpidita da percezioni pure, a livello dell’istinto; seppure inseribili, nella nascita, nelle esperienze di ogni giorno. Al punto che le sue astrazioni assumono valore e significato più misteriosi, e perciò più poetici, proprio per questa mancanza di descrizione oggettiva, in ossequio alle istanze dell’anima. Non a caso Diego Valeri, in occasione di questa mostra che rientra nelle manifestazioni Primavera 67 del Bancario, scrive ancora: Qui c’è, un senso mistico, un’attesa forse inconsciamente religiosa, che di continuo cerca il confronto con la materia e, nel confronto e nell’urto, le infonde un’anima poetica, un indubbio significato spirituale.
La rassegna, inaugurata sabato scorso a Palazzo Kechler, rimarrà aperta fino al 14 maggio. È una buona occasione per chi ama la buona pittura.
 

dal “Messaggero Veneto”, 1º maggio

1967LUCATELLO AL BANCARIO

di Franco Giliberto

 

 


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