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Perissinotto, 1988
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Segno di contraddizione e di scandalo: così dovette apparire all’ambiente friulano Albino Lucatello, frutto maturo di una concezione dell’arte che privilegiava il deciso confronto con quanto appariva al limite delle possibilità umane, l’insofferenza con tutto ciò che suonava vincolante e costrittivo alla libertà espressiva, la coscienza di dover incidere sulla società e sulle sue strutture in difesa degli emarginati.
Nell’opera di Lucatello è presente il senso romantico della vita, calato nella realtà sociale del dopoguerra, passato attraverso l’esperienza neorealista e posto a confronto con una natura, quella friulana, che, nel breve giro dello sguardo, offre la possibilità di confrontare i vertiginosi (e perciò sublimi) verticalismi dei Musi e il pigro distendersi del Tagliamento.
E, infine, il terremoto, che ripropose, ipso facto, il problema della sopravvivenza. A Grado, terremotato tra i terremotati, Lucatello ritrovò la misura e la tecnica del periodo neorealista, con stemperata carica ideologica e maggiore umanità. I suoi carboncini, esposti al Cfap fino al 14 giugno, ne danno la misura.
Una misura che diventa dismisura quando egli opera da pittore, la cui motivazione si coniuga al paesaggio: Lucatello ferma nell’emozione attimale parti–simbolo della natura: metamorfosi cromatiche di stimoli che trascendono la fenomenologia del paesaggio stesso. Motivazioni che non hanno nulla a che vedere con il riferimento ottico, che rientrano invece nella peculiarità dell’essere di Lucatello e del suo comportamento.
Essere, nel senso di interpretare profondamente lo spessore umano della vita (ravvisabile nei grumi materici del colore); comportamento, nel senso di dare alle sollecitazioni esterne risposte immediate, istintuali, sintetiche, globali: il particolare corrisponde al tutto e il tutto è individuabile nel particolare.
Lucatello certamente riuscì, senza provocarlo, a contornarsi dell’alone del poeta maledetto, per la sua insofferenza a schemi consolidati e, soprattutto, per la sua estemporaneità elaborativa. La sua opera suscitò entusiasmi, quando fu osservata dall’ottica della genialità trasfiguratrice, ma non ci sembra sia stata colta nella giusta portata l’immaginazione dell’autore, sempre tesa a inseguire il tipico, a confrontarsi con il sublime.
L’urgenza di sovvertire un consolidato modo di intendere la pittura e di renderla traduzione vibrante di sentimenti sublimi è retaggio romantico e fece di Lucatello un isolato (non socialmente), che, in un ambiente ritardatario come il Friuli, ebbe il merito di muovere le acque, generando significativi consensi, senza comunque scalfire la piaga dell’indifferenza per i veri problemi dell’arte.
Ora la Galleria d’arte moderna di Udine gli dedica una mostra che rimarrà aperta fino al 30 luglio. Al di là del doveroso omaggio, è viva la speranza che il diretto accostamento delle opere generi comprensione della sua personalità e aiuti a meglio definirne il contributo in funzione di una giusta collocazione nel percorso dell’arte contemporanea.
 

dal “Messaggero Veneto”,
1 giugno 1988

IRRUENZA TRASCRITTIVA DI ALBINO LUCATELLO

di Luciano Perissinotto

 

 


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