Lucatello, che
pur si è chiaramente formato dentro la dimensione culturale
e pittorica veneziana, sostiene di voler rinnegare cultura e tradizioni
quando essi siano, come nella concezione attuale sono, condizione
oppressiva del gesto umano. Perché gli artisti, e gli uomini,
devono farsi e costruirsi in una proiezione sempre nuova e antistatica,
devono nascere a ogni istante della loro vita.
Con gli ambienti intellettuali, la sua è stata una polemica
lunga e arrabbiata, mal capita, ma di cui certo non teme la verifica.
Né gli importa del disagio, ovvio, che gliene è derivato
in campo ufficiale. Da tutto questo forse deriva il suo amore per
la terra friulana, sobria ma intensamente viva, e culturalmente
ancora tanto poco esplorata. Attraverso questa natura, che egli
vive mentalmente in spazi separati che sono verdi, ma anche neri
(e il nero diventa colore nella sua pienezza), il contatto con l’uomo
si fa vibrante, in un linguaggio che a esso si condiziona, irrinunciabile.
"Natura del Friuli", "Dimensione uomo–natura",
"Ostacoli", sono i titoli che da anni ricorrono in questi
quadri, che a volte assumono proporzioni imponenti.
I suoi sono "momenti" legatissimi in un discorso che procede,
sofferto ma dinamico, senza inibizioni. Lo dimostra il fatto che
dalle stesure di natura, dove l’impasto crudo o anche tenero
della terra (o di un gelso) sono insieme l’impasto della coscienza
umana, o dagli "ostacoli" di taglio a volte rigido a volte
serpentino che sono, in uno, steccati e insieme barriere che frenano
l’impeto umano – inserisce (recentissime) una serie
di volti, veri, terribilmente vivi, colmi di un dolore esacerbato
e primordiale mai risolto. Eppure sempre, in qualche modo, anche
dietro quegli ostacoli che sembrano sull’orlo di spaccarsi
per la tensione, esiste una chiarezza alborea, non raggiunta, difficile
ma possibile. |
|
Dall’invito alla mostra
personale al Circolo artistico Palazzo delle Prigioni vecchie —
Venezia,
24 luglio – 4 agosto 1976
Autopresentazione |