Durante una personale alla Bevilacqua
arrivano gli americani: una galleria di Los Angeles gli firma un
contratto. Per un breve periodo sembra che la fortuna commerciale
gli si rovesci addosso: gli organizzano mostre,
gli vendono quadri a gran prezzo ai grossi
personaggi della mitica California. Poi
improvviso il silenzio. È arrivato, pare,
il rumore del suo comunismo proprio nel bel mezzo del disagio maccartiano.
E ci rimette persino una quarantina di sceltissimi quadri.
Con quel po’ di euforia economica si prende un nuovo studio
a San Vio e affitta per
un’estate, nel ‘57, una casa a San Pietro in Volta, dove
portare i bambini. Ma non dipinge il mare. Ne esce invece una serie
di “orti a Portosecco” materici e grumosi filari di verdura
scura, sotto cieli bianchi o gialli: l’oggetto
s’indovina appena ma non può mancare il preciso riferimento
alla natura. Una natura dove c’è un contadino che non
si vede, ma che da sempre è presente nell’humus di quella
terra salmastra. E seguono le nere terre materiche, dove i grumi
di colore si fanno addirittura
sporgenze, con cieli fiammeggianti al tramonto — ma anche le
teiere, queste imprevedibili nature morte che s’intersecano
nella materia e che, ancora, rendono credibile l’impasto della
natura con l’uomo.
Ma come si fa chiaro nella mente il senso del suo fare, quasi per
naturale contrasto si
acuisce il disagio, l’insofferenza per l’ambiente artistico
veneziano. Di estrema dolcezza nei rapporti umani, tollerante e
generoso per la sofferenza e la debolezza dei sentimenti diventa
aspro e rigoroso quando si tratta
di pittura, perché pittura per lui è pulizia, è
la morale della verità per quanto questa possa essere contingente.
Così il Lucatello
entusiasta dei primi anni diventa un arrabbiato cronico. Alle mostre
collettive litiga con gli organizzatori che cercano consensi, con
i critici che nelle giurie scartano lo sforzo autentico e sono condiscendenti
con l’anonima ressa dei postulanti. Lucatello diventa
scomodo. È sempre uno che “faceva bene” tre anni
prima. Oppure è bravo ma “va per conto suo”. Con
lui non c’è dialogo, è un po’ matto, è
un isolato. E lui infatti si isola. Venezia diventa un amore odiato.
Vuole andarsene, ma non per cercare appoggi in altre capitali d’arte
e di consorteria: la sua è la scelta di un esule. |