Vendoglio, Treppo, Tarcento, il Tagliamento, i Musi:
in che maniera questi luoghi spiegano la pittura di Albino Lucatello?
I luoghi ci provocano, mettono in moto corrispondenze, danno occasione
e misura a immagini, a stati di coscienza, rivelano noi a noi stessi
e, come noi misuriamo loro, a loro turno ci misurano.
I luoghi non sono affatto indifferenti, hanno mille modi per filtrare
attraverso le opere dei pittori, degli scrittori, dei poeti: a volte
nella loro precisa riconoscibilità, a volte nella loro essenza,
quando questa essenza si incontri con una tensione che riassuma
insieme cultura e istintualità, quello che siamo nel profondo
e quello che siamo diventati attraverso lesperienza.
Chiedo scusa, ma devo personalizzare, dato che solo in questo modo
posso rendere evidente la chiave di lettura che mi si è imposta,
davanti alle opere di Lucatello, fin dall86, quando vidi la
retrospettiva organizzata dal Comune di Venezia presso la Galleria
Bevilacqua La Masa: credo e sarà unaffermazione
arbitraria, o forse inevitabile che il pittore abbia trovato,
e proprio in quel Friuli, ciò che io stesso ci trovo e sempre
continuo a trovarci: un rapporto col naturale più diretto
e più aspro, più originario, dove linebriante
profumo di una maternale dolcezza raramente si disgiunge da una
sensazione di oscurità, di mistero panico: anche, e non infrequentemente,
di sotterraneo timore. Insomma, una perfetta metafora della vita,
che incanta, affascina, innamora: e fa paura.
Questo credo che Lucatello abbia profondamente, fisicamente sentito
nella natura del Friuli, e questo egli ha detto e testimoniato,
ma non solo da quando in Friuli si trasferì, bensì
fin dagli inizi, usando via via con maggior consapevolezza uno strumento,
insieme teorico e stilistico, che gli dava modo di ottenere i migliori
risultati: lo strumento dellimmersione.
Egli elimina infatti, fin dallinizio, ogni elemento puramente
narrativo.
Vi sono bensì, ai primi anni 50, dei disegni di figura
e di paesaggio alcuni presenti anche in questa mostra pordenonese
che sembrerebbero contraddire questa idea di immersione.
In particolare tutta la serie dei carbonai e delle mondine, nella
quale limmagine si accampa in primo piano senza altro commento
che se stessa o, al più, un minimo elemento dambiente,
tavolo o bicchiere.
Ma si vede bene, anche qui, che non vi è narrazione, che
vi è piuttosto il tentativo dimmergersi in una condizione
dumanità, oltre ogni specificazione immediata. Certo,
esiste unintenzione politica dietro queste figure, ma essa
non travalica il loro peso di realtà, la stessa dolorante
dignità in cui sono calate ne fa emblema ed icona, non racconto,
meno che mai racconto didascalico.
Se poi consideriamo attentamente, per esempio, il disegno in cui
è rappresentato un gruppo di mondine intente al lavoro, vedremo
che Lucatello già qui colloca le figure in unamplitudine
di paesaggio che le accoglie in una sorta di tutto naturale, e se
consideriamo il disegno del bosco, ancora vediamo che egli vuole
chiaramente far percepire a chi guarda non una visione, ma uno star
dentro, non una immagine di, ma una immersione tra gli alberi del
bosco.
E allora non ci sorprenderemo affatto, considerando la serie dei
Tetti veneziani e degli Orti a Portosecco, se Lucatello avvicina
in maniera grandangolare limmagine di quei tetti e di quegli
orti, materializzando la luce in articolate, intricate campiture
di rossi, azzurri, grigi, neri, oppure gialli ocra e terre, per
nulla preoccupandosi della riconoscibilità, solo attento,
invece, a che la sua opera esprima un sentimento di appartenenza
e insieme di possesso, cioè, appunto, una metaforica volontà
di immersione.
Che non è, si consideri, contemplazione, non è rapimento
estatico nei confronti del mondo, ma azione, coinvolgimento, volontà
di divenire assieme al divenire. Ciò peraltro fu ben sottolineato
da Berto Morucchio nella prefazione al catalogo di una mostra del
1969 a Venezia, quando, a proposito dellatteggiamento dellartista
nei confronti della realtà cita Rimbaud: "Mangiamo laria
la roccia, il carbone, il ferro
i sassi che
un povero spacca le vecchie pietre delle chiese
";
mangiare, impossessarsi, immergersi: Lucatello sa e sente di essere
parte della natura, né crede che questo essere natura possa
venir espresso in altro modo, se non attraverso lidentificazione,
ottenuta da lui pittore, mediante la materia cromatica usata come
il muratore usa la pietra: non per rappresentare, ma per fare, non
per vedere, ma per vivere.
E si capisce anche perché lui così evidentemente
toccato dalle proposte dellinformale, cosi chiaramente attento
allarte dei maestri del secolo insistesse a definirsi realista:
perché allinterno della sua ottica è appunto
realismo, e nientaltro, quello che continuamente opera
magari talvolta disperando a rendere lillimitato, organico
spessore della natura, che ingloba in sé tutto, il cielo
e la terra, i fiumi e le montagne, lopera delluomo e
luomo medesimo.
Uno dei primi idoli del pittore, una volta stabilitosi in Friuli,
fu il Tagliamento, come, in precedenza, era stato il delta del Po.
Se quel che abbiamo fin qui scritto ha senso, non appare difficile
capire perché. Il Tagliamento è inestricabilmente
vita e morte, acqua e piante, verde e grigio, bianco e rosso di
tramonto.
Il Tagliamento è, anche, un grande spazio originario, geologico,
lorma gigantesca di una naturalità onnipotente, sempre
diversa e sempre uguale a se stessa.
Tentar di rappresentare tutto questo in termini sia pur vagamente
prospettici significherebbe immediatamente, per Lucatello, diminuirne
la complessità metaforica, far diventare solo immagine ciò
che è invece, per essenza, pura dimensione naturale.
Lunico strumento adatto appare allora come già
era stato per il tema del delta lintersecarsi di paste
alte, dense, che si scuriscono in neri fondi, o simbiancano
in candori quasi daffresco, realizzandosi spesso in una originalissima,
robusta, terrosa raffinatezza.
Daltra parte le opere friulane di Lucatello vivono tutte,
in effetti, tra il polo di una potente sensualità materica
e quello di una sublimata leggerezza lirica.
La quale trova nella serie de I Musi le sue realizzazioni più
coinvolgenti, ma non manca di esprimersi anche in tante altre opere
su tela, e pure in talune splendide carte che ho avuto occasione
di vedere e che bisognerà, una volta, radunare tutte in unoccasione
definitiva.
A quel primo polo appartengono certo, oltre ai Tagliamenti, visioni
di terra e natura dove lintenzione panica dellautore
è così visibile da superare qualche volta, secondo
la mia sensibilità, il limite che distingue il fatto visivo
dal fatto mentale, il fatto della pittura dal fatto teorico
di una certa idea della pittura: come capita quando gli elementi
linguistici dellopera sono talmente ridotti da sfiorare lafasia.
Era il rischio di chi puntava con tutte le sue forze a far sentire,
per via di pittura, lindissolubile intreccio che lega ogni
apparenza ad ogni altra, ogni vita ad ogni altra, ogni essenza ad
ogni altra.
E per ottenere, daltra parte, risultati indimenticabili: per
esempio certi momenti di natura di una tale gioiosa verità
e leggerezza, che il loro verde non è più materia,
ma sogno e scintillio vitale; per esempio certi momenti solari di
strepitosa raffinatezza segnica, figli di una concentrazione che
si stenta a immaginare; e, appunto, certi Musi, sostenuti nella
loro felicità lirica con inalterabile energia creativa, da
sembrare, anche le tele come le montagne, figlie della natura, della
limpida, ineludibile danza della necessità.
Poiché questa era, in fondo, lintenzione di Lucatello:
fare una pittura che fosse, essa stessa, natura, che sostenesse
lillusione di poter togliere, per via darte, il diaframma
disperante e necessario che la coscienza interpone
tra la nostra vita e la vita del tutto.
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Tra il Tagliamento e i Musi
mostra personale antologica
Pordenone, Palazzo Gregoris,
18 ottobre 3 novembre 1996
Giancarlo Pauletto
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