“Sogno della battaglia
sul Tagliamento: Una pianura, un fiume che si può dire inesistente...”
Franz Kafka, Diari 1917Veniva da Venezia Lucatello ed aveva da poco
esaurito l’esperienza del Polesine ove, attraverso i “Delta”,
aveva portato a maturazione quel processo che lo aveva condotto
a un realismo nuovo, scevro di ogni dettame e retorica in favore
di ragioni più autenticamente pittoriche, che risentivano
di una viscerale radice artistica veneziana e dell’aggiornamento
culturale che l’Italia intera, ma in maniera così pregnante
Venezia era andata elaborando nel clima fervido del dopoguerra.
Le Biennali e le istituzioni tutte parlavano di una modernità
da rifondare prestamente, alla ricerca del tempo perduto nella miopia
autarchico–culturale. Ma anche fuori dai “recinti sacri”
la città cui Lucatello apparteneva si dimostrava vivace e
stimolante: galleristi aperti alle novità più autentiche
e collezionisti attenti e preparati erano parte di un clima che
l’artista viveva intensamente e di cui era divenuto parte
attiva e riconosciuta.
Significative furono le amicizie artistiche e le frequentazioni
culturali, cui prese parte in quegli anni; fu conferito il Premio
Tursi alle opere presentate dal pittore alla Biennale nel 1956 e,
a conferma della stima che la città nutriva nei confronti
di questo suo artista, il Museo di Arte moderna di Ca’ Pesaro
acquistò due opere che figurano nella collezione museale.
Ma di quanto fossero in realtà duri, tanto dal punto di vista
ideologico che artistico ed economico, i tempi veneziani per il
pittore e quanto la necessità per Lucatello di natura poco
incline al compromesso (“ruvido” lo definì Peggy
Guggenheim quando l’artista rifiutò il suo contratto),
avesse inciso sulla scelta di accettare la cattedra di Disegno dal
vero all’Istituto d’Arte di Udine, è cosa nota,
ma che amiamo ricordare per comprendere meglio questo artista così
capace, eppure mai abbastanza riconosciuto nel panorama culturale
che egli contribuì a definire.
Certamente quando approdò a Udine nel 1961 Lucatello era
portatore di una cultura artistica vivace ed aggiornata, che seppe
commisurare alle esigenze del clima locale di cui divenne parte
attiva e per molti riferimento. Non senza un momento di riflessione
e di orientamento.
Coerentemente con quello che fu sempre il suo modus operandi, conobbe,
questa volta più intenso, un primo approccio muto con la
realtà che lo attendeva, approccio fatto di incontri, scoperte,
ritorni, appostamenti, attese.
Nei ricordi di Giselda Lucatello, era tipico del marito conoscere
silenziosi periodi in cui una riflessione apparentemente cheta e
una stasi produttiva celavano al contrario un fermento ed un’inquietudine
interiore, cui seguivano momenti di ricerca febbrile e autentica
furia operativa caratterizzati da una risoluzione pittorica presta,
intensa, bruciante.
Nella concezione realista del pittore il soggetto aveva il suo significato.
Non si esimeva Lucatello dalla scelta e dal riferimento puntuale
alla situazione da cui traeva ispirazione: la precisava, a conferma,
anche nel titolo. Fu così che nel Tagliamento individuò
la coerente prosecuzione del suo agire pittorico, del suo esprimere
attraverso la pittura la propria essenza culturale, la propria visione
del mondo e il particolare rapporto con esso.
Il perché di questa scelta tematica, il perché proprio
del Tagliamento richiede una risposta biografica, che ha acquistato
nel tempo il sapore per così dire aneddotico: quel girare
da veneziano, senza macchina cioè, lo aveva condotto ad utilizzare
un motorino con cui era in grado di addentrarsi in ogni anfratto
del territorio friulano, che batteva palmo a palmo con curiosità
di scoperta e stupore insaziabile. Da Tarcento, ove abitava, partiva
e si portava sul medio Tagliamento all’altezza di Osoppo.
Scendeva verso Buia, Pinzano, Ragogna, Spilimbergo, ove l’ampio
letto, lasciato il cono di deiezione e le colline moreniche, si
apre alla pianura, che tutta attraversa primo di sfociare al mare.
Da questo “povero fiume, vasto di ghiaia”, nelle parole
di Turoldo, che nella sua odierna, silente scarsità è
emblema maestoso del popolo e del territorio che attraversa, Lucatello
fu fortemente, subito, attratto.
Ne avvertiamo il fluire dalle prime pitture che l’artista
realizzò in Friuli, da quei “Paesaggi di Buia”
cioè nei quali, dopo gli orrori del Polesine, parve egli
ritrovare una visione felice della natura, resa con la forza e la
flagranza della scoperta. Di lì a poco il fiume acquistava
autonomia di soggetto, dando vita ai “Tagliamento”,
che possiamo considerare un’autentica serie, un ciclo, che
investì a livello tematico la sua ricerca per poco più
di tre anni, che nacque silenziosamente, conobbe momenti differenziati,
si esaurì e si chiuse.
Ma al suo interno ogni opera è un autentico accadimento,
dalla pregnanza e dall’incisività strabiliante e singolare.
Del Tagliamento Lucatello non intese cogliere l’insieme, il
senso complessivo, il significato territoriale; non si curò
della vastità del letto che arido, ma preciso nel riferimento
delle genti, si snoda a dividere terre, idiomi, cuIture: ebbe per
così dire, nel suo materialismo, un atteggiamento lenticolare.
Si soffermò cioè su quegli accadimenti parziali, seppur
precisi, che caratterizzano ed articolano la moltitudine costitutiva
di un fiume che, più che fluire, pare inciampare in quella
che dovrebbe essere la sua sostanza prima, l’acqua.
Furono “Gli stagni” dunque, in continuità con
gli omonimi lavori veneziani, la costola adamitica da cui generò
la pittura a venire.
Come già nei “Delta”, l’imprecisata situazione
di rapporto terra ed acqua divenne coordinata, parametro congeniale
alla espressione pittorica dell’artista.
Le buche condensano cromie su cui fondare la continuità con
una ragione pittorica veneziana di cui Lucatello, maturato all’ombra
dei Frari, era portatore per così dire naturale. Una tradizione
coloristica secolare, in grado di attribuire alla materia cromatica
valore autonomo nella costruzione compositiva e spaziale, sino alla
responsabilità di unificare l’opera secondo parametri
proporzionali e gravitazionali luministici scaturiva vitalisticamente
nelle opere dell’artista. I brani portavano radicata questa
concezione naturale cromatica, cui si affiancò una sensibilità
ed una volontà che si pose il realismo quale fine senza indulgere
al superamento dell’oggetto in favore della emozione, tantomeno
della visione interiore.
Gli stagni acquisirono allora densità e materia che li rese
partecipi di una concretezza scevra da ogni indulgenza estetizzante
e li ricondusse ad un reale partecipato dall’artista per scelta
etica e morale ancor prima che per propria essenza culturale.
Parve poi alzare lo sguardo Lucatello e cogliere il Tagliamento
nella sua orizzontalità. Il letto e il suo rapportarsi con
gli elementi primari di contesto (il greto sassoso, la riva, la
vegetazione cespugliosa circostante, qualche coltivo, l’orizzonte)
divenne elemento di nuovo interesse. Si addentrava l’artista
in una fase analitica in cui la ricerca si faceva oggettiva e lo
studio era volto alla comprensione ed alla appropriazione degli
elementi più ampiamente costitutivi il fiume. Il tutto era
indagato nell’accezione di un divenire continuo, che negava
al fiume qualsiasi fissità.
La variazione atmosferica e luministica, il mutare delle ore del
giorno e delle stagioni furono accolte quali situazioni conducenti
all’incertezza che muove alla conoscenza. Ne nacquero brani
attenti ad una presa non già descrittiva, ma fitta e minuziosa
della sostanza stessa del Tagliamento, brani risolti attraverso
punti di vista precisi e ricorrenti in grado di restituire la posizione
del pittore in questo suo rapportarsi con l’elemento fiume
offrendo i parametri di una visione certa, quanto precaria, del
mondo.
Talora l’analisi di Lucatello si precisava in porzioni minime
di fiume. Pareva l’artista guardare ai suoi piedi e indugiare
su quel frammento di realtà che assurgeva a microcosmo cromatico
per le scelte solari effettuate, sempre dense quanto fuggenti e
mutevoli.
Nel dettaglio che priva il reale delle fondamentali coordinate,
il senso di astrazione diveniva nell’osservatore irresistibile.
Ma nemico di ogni astrazione Lucatello adottò allora una
soluzione radicale al fine di ricondurre in maniera inequivocabile
l’opera al reale: nasceva nell’artista il prelievo,
l’accoglimento cioè all’interno dell’opera
di materiale di fiume che parla di costitutività primaria
ed essenziale di ciò che veniva indagato. Sassi del Tagliamento
spiccano nelle tele di Lucatello determinando certo un interesse
compositivo primario per quell’emergere polarizzando l’attenzione,
per la diversità percettiva di contesto (duro–morbido,
liscio–ruvido…) che si veniva a creare, ma si generava
soprattutto una disincantata e “materialista” visione
del mondo che da Lucatello era attesa quanto motivata.
Il prelievo ricorre in diverse opere presenti nell’esposizione
ed accompagna il percorso di questi Tagliamento, soprattutto nella
fase in cui maggiore fu la tensione conoscitiva, in cui il rapporto
con il fiume s’improntò sulla percezione ed elaborazione
dei suoi elementi naturali.
“Andava tutti i giorni sul Tagliamento”, racconta Giselda,
“quando decideva ed avviava un periodo era per lui un’ossessione”.
Entrava allora l’artista nella fase più feconda dal
punto di vista della quantità produttiva. Ma succedeva a
un certo (e probabilmente preciso) punto, che egli diveniva pago:
l’appropriazione del fuori di sé era avvenuta. Si faceva
allora incontro una sorta di negazione, bisognosa di quiete, indulgente
al tempo ed alla interiorizzazione di quanto elaborato, che tutto
voleva corrodere prima di concedersi.
La forza dirompente, estenuata dallo sfruttamento delle sicure doti,
che aveva condotto l’artista ad una vivacità espressiva
e ad una risoluzione presta ed efficace, pareva decantarsi offrendo
soluzioni meditate, in cui gli elementi conosciuti venivano sedimentati,
catarticamente purificati.
Siamo nel 1966 e i Tagliamento divengono brani in cui la restituzione
pittorica valica ogni riferimento diretto al dato naturale. Il processo
di sintesi ha condotto ad approdi liberi, maggiormente mentali,
in cui della realtà non resta che l’idea pacata, ma
assolutamente convincente nella resa sostanziale e concettuale dell’elemento
fiume. I mezzi pittorici, scarnificati, affidano al tono su tono
la costitutività dell’opera.
Monocrome superfici tese, su cui improvvisi ma precisi si addensano
radi corposi impasti, conducono a parametri universali gli elementi
di una conoscenza oramai data e dimostrata e costituiscono il confine
ultimo e assoluto dei Tagliamento di Albino Lucatello.
Francesca Agostinelli, marzo 2002 |
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Dal catalogo della mostra “Lucatello.
Tagliamento” a cura di Francesca Agostinelli
Udine, Artestudio Clocchiatti,
23 marzo – 30 aprile 2002 |