Nel 1947 vidi
il primo dipinto di Albino Lucatello: lo teneva "fresco"
tra le mani, mentre di lui parlava, presentandomelo, una contessa
esuberante nel suo impasto populista.
Le qualità che notai in quellimmagine della piscina
Passoni, tema frustro, rimbambito da tanti tentativi succubi, in
vari modi, del magnetismo naturalistico, mi presentarono un giovane
che pensava il colore e la forma a modo suo.
Tutte le vibrazioni del luogo erano presenti eppur celate; linerzia
della gabbia prospettica era rotta dalla presenza marcata di linee
azzurre provocantemente autonome, che, mentre concludevano con decisione
lessenzialità dellimmagine, rimandavano ad altri
intendimenti.
In nuce, era presentato il primo problema che Lucatello si pose
e del quale diede molte soluzioni e che durò fino al 1956,
coi suoi "Tetti a Venezia" ospitati alla XXVIII Biennale
veneziana.
Per naturale immersione nel nostro ambiente storiconaturale
lagunare, la sua inclinazione a vedere attraverso il coloreluce
lo portava a cogliere della realtà, da cui iniziava la sua
esperienza, i valori da essa affiorati, che oscuravano altre indagini,
ritardavano altre percezioni.
Ma, nellistante di questa scelta, scattava, come atto critico,
la volontà di rompere questestasi di un momento, seppur
incantato, felice, ma incompleto e ritardato se misurato al sentimento
della storia, mai come allora così presente nella sua contradditoria
complessità, che si destava in lui proiettandosi nella sua
visione plastica.
Da qui si spiega il suo uso dellaccentuazione segnica che
poneva vicino al sentire, ancora lirico e abbandonato, il pensare.
In quei dipinti cè un rincorrersi tra immediatezza
e mediazione, cè scontro, abbandono e ripresa; cè
il disgusto per le sue qualità iniziali, le premesse del
prossimo veder cupo.
Chegli potesse acconsentire allelaborata definizione
neorealista si spiega se la si interpreta come una formulazione
estetica in cui fine generale era di concepire latto artistico
come un atto completo in sé e ricco di relazioni.
Ma laver accantonato la visione dinamica di tale atto, sottraendogli
poco a poco la conquistata autonomia linguistica, che sempre si
caratterizzava nella ricerca, dissociando listanza sociale
dalla scienza, impoverì quanto di legittimo si trovava allinizio
di tale movimento darte, con la sua proiezione delletica
individuale in quella collettiva, immiserendo altresì lo
spirito che deve animare la difficile operazione didascalica per
mezzo dellarte. Ma in questa fase Lucatello sfoggiò
un torrente denergia nel dovere che sentiva di denunciare
la chiusa condizione proletaria.
Dallartista veniva rappresentata in unimmagine di lavoratore
degradato, un bracciante scaricatore. Non erano gli atteggiamenti
colti dalla vita (continuava a scegliere un repertorio noto, che
ha le sue radici nellOttocento), ma il tumulto antigrazioso,
la gravità della materia che intendevano esprimere uno stato
di dura coseità, nel quale è circoscritta e pensata
da che la governa tale classe.
Una coseità angosciosa perché scoperta nellessere
umano, che restringeva il suo svagato orizzonte. Comunicavano dispetto,
attenzione, ira i segni velocissimi che bucavano di nero compatto
faccie e corpi più che il contenuto dellimmagine. Il
quale, a poco a poco, pur presente, rimaneva come estraneo allevento
della nascita di urna nuova consapevolezza dentro laccettata
poetica neorealista. Nasceva il materialismo plastico di Lucatello
così affine ad altre poetiche incalzanti, ma da esse distinto
e forse opposto. Il riferimento oggettivo dellimmagine o rimaneva
presente come un gesto convenzionale, vieppiù dissociato
dal luogo del conflitto del suo rinnovato sentire, chera il
formarsi stesso dellimmagine, o veniva spesso risucchiato
dalla violenza della nuova struttura nascente.
Cosa significavano queste alte paste bituminose, delineanti una
lingua di terra nel mare in controluce, schiaffeggiata allorizzonte
da un cielo impietoso bianco e giallo tiratissimi nella loro uniformità?
Un paesaggio, siamo nel 1957, 1958, che patisce a volte l'intervento
dellastrazione, ma solo per affondare ancor più in
quellovvio a un primordio organico. Lucatello, mantenendo
il legame con la realtà tramite la certezza elementare che
i sensi infondono, prepara, con una convinzione conquistata grado
a grado, il suo stato danimo di ricezione della materia. Ancora
essa è uno strumento amato, duttile, ma è serva che
ricopre un ruolo.
È indagata nel suo uso immediato, non è, come si dice,
trasfigurata. Anzi se cè un limite in questo periodo,
esso appare nel suo dosaggio quantitativo che viene intuitivamente
calcolato in rapporto alloggetto percepito. Questo equilibrio
tra soggetto, natura e medium non è per nulla voluto da Lucatello,
mentre le prevaricazioni del medium sugli altri due fattori, certi
stridori tra essi, durante la relazione necessitata dalla sintesi
espressiva, sono cercati intenzionalmente dall'artista, in uno stato
latente di consapevolezza. Sarà questa rottura che lo farà
procedere.
Quando la materia salzerà come onda immensa, racchiudendo
essenza, gesto, dimensione, allora Lucatello avrà capovolto
il rapporto precedente.
Ma dovrà prima bruciare altri ardori, gareggiare con lavidità
rimbaudiana e courbetiana per la natura (
"Mangeons lair,
Le roc, les charbons, le fer,
Mangez
Les cailloux quun pauvre brise, Les vieilles pierres
déglises, Les galets, fils des déluges,
Pains couchés aux vallées grises! Mes
faims, cest les bouts dair noir; Lazur
sonneur; Cest Iéstomac qui me tire
).
Ritorna quella gioia di fanciullo le cui percezioni sono acutissime,
mescolata alla disinvoltura possessiva delladulto.
Di fronte ai dipinti del 1962 non sai se Lucatello intoni il grido
della sfida o linno dell'esaltazione. Unestasi vorticosa
batte in quelle terre di Tarcento, dove ora vive, e ch'egli interroga
con umido abbandono.. E' la dolcezza delladdio chegli
darà tra poco alla misura mimetica? Perché dopo il
periodo scuro cè quello liberatorio nato dal nuovo
ambiente, dove ogni gamma di verde è amata, dove i segni
fitti e gli spazi larghi coesistono e sidentificano in boschi
e spianate, relazionati con una sapienza che da sola definisce la
mano di un maestro.
Ma ecco ritornare il problema che vuole sia la materia stessa emozione
e organicità. Tutto cade, fuori di ciò, nellillusione
scenografica, tutto rotola nello spezzettamento del particolare.
Sì, vengono senza dubbio alla mente i monocromi di Fontana
e di Yves Klein, ma lesser ancora natura, e sentirla più
completa, è il carattere proprio dei monocromi di LucateIlo.
Ora la materia non appoggia linganno naturalistico, ma è
essa stessa natura. Se Lucatello non fosse provvisto di una forza
concreta dellimmaginazione si potrebbe temere che ci indicasse
unastrazione senza uscita, si contraddicesse invitandoci in
un eliso delle essenze, ancora prigioniero di unaltra poetica
dei valori. Ma il suo rigore teorico è congiunto con lanimazione
sensibile, e coi monocromi esprime tutta la forza, gli stati danimo
che la materia contiene, cui luomo darà, di volta in
volta, un nome animando, pur in modo arbitrario, unindifferenza
che sembra contraddirsi, ma che è solo la vita di un elemento
nel suo misterioso svolgersi. |
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MORUCCHIO Berto, Albino Lucatello,
Venezia, ed. Galleria dArte Venezia, monografia edita in occasione
della mostra personale Lucatello, Venezia, Galleria dArte
Venezia, marzo
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