Probabilmente
Albino Lucatello, con la tipica diffidenza che molti artisti coltivano
non senza ragione nei confronti della critica e dei suoi apparati
classificatori, troverebbe arbitrario un processo di rilettura della
sua opera pittorica alla luce di linee di struttura e di linguaggio
mutuate dal contesto internazionale o in esso convergenti. Ma credo
sia proprio inevitabile, in una occasione come quella che ci è
offerta dalla sensibilità dei responsabili della Galleria
dArte moderna di Udine, tentare lanalisi in situazione
di una vicenda darte fra le più rilevanti, e insieme
fra le più discrete, di quante si siano svolte nellItalia
del secondo dopoguerra. La verifica di questa affermazione non sarebbe
del resto possibile se non ci si riferisse costantemente e concretamente
a una realtà che, come tutte le realtà culturali,
non è definibile in termini geografici né può
comprendersi in limiti di scelte affettive, sempre comprensibili
in un artista che vuole essere libero di scegliersi rapporti e luoghi
privilegiati di lavoro, ma abbastanza irrilevanti per chi debba,
come il critico o lo storico dellarte, muoversi secondo prospettive
le più ampie possibili, pena una accentuazione del rischio
di parzialità del giudizio e di riduzione del campo dindagine
a pacificanti convenzioni interpretative. Queste possono tanto più
pesare allorché si consideri la personalità di un
artista come Lucatello, certamente capace di suggestione anche in
virtù di una sorta di sincera tendenza ad isolarsi dai luoghi
di maggior clamore retorico e per quella vocazione alla solitudine
e alla silenziosa riflessione che lo portava, si legge negli scritti
che lo riguardano, a diffidare della tradizione e della storia o,
meglio, a cercarne nuove significazioni dialettiche nel rivivere
luna come tradizione di luoghi, di sensazioni e daffetti
e laltra più come memoria dinquinate umanità
che non come processo aperto al presente.
Lavversione ai sistemi è cosa molto comune negli artisti
che operano per impulsi e per intuito e che credono alla ragione
(fonte di ogni storicismo) solo in quanto essa, pascalianamente,
può affermare la sua irragionevolezza a diventare strumento
di critica della omologazione per sistemi della vita e dellarte.
Da quel poco che posso aver appreso da coloro che meglio di me hanno
conosciuto Lucatello, mi sembra di poter dire che non era uomo da
rifuggir le inquietudini e i problemi anche quando più serenamente
sembrava abbandonarsi allincanto di una visione puramente
pittorica o alla confidenza di amicizie che costituiranno punti
di riferimento non dubbi del suo operare e del suo vivere en artiste.
La sua passione politica, che deve essere restata forte anche nei
momenti di più dura delusione e di più accentuate
amarezze, e le conseguenti dichiarazioni di poetica sempre improntate
ai principi di un realismo che aveva ben poco a che spartire con
quello dimpronta dogmatica degli zdanoviani dosservanza,
ci testimoniano di una volontà di partecipazione al sociale
che non sattenuò neppure allorché vennero meno
le ragioni dellimpegno militante e a Lucatello, come ad altri
artisti e intellettuali italiani, parve che per larte e la
cultura fosse giunto il momento di salvaguardare soprattutto la
propria autonomia nei confronti dei diversi centri del potere, da
quello accademico a quello, appunto, politico che savviava
allinfinito gioco dei compromessi suggeriti dal funzionalismo
e dal pragmatismo.
Lucatello aveva probabilmente creduto, negli anni delle generose
illusioni del dopoguerra, che funzione estetica e funzione sociale
potessero convergere, se non identificarsi, in una azione di diretto
intento politico senza che i valori specifici dellarte avessero
a soffrirne, nella convinzione anzi che ne venissero esaltati. Fu
un momento di verità e di illusione della cultura di sinistra
che ebbe proprio a Venezia uno dei suoi centri più vivi e
inquieti. Le vicende che portarono alla costituzione e al dissolvimento
del Fronte nuovo delle arti, lirrigidirsi del dibattito su
posizioni dogmaticamente contrapposte di realismo e di formalismo,
la crisi che attraversò e divise la cultura di sinistra nel
nostro Paese, furono cose patite e vissute da Lucatello con quella
passione di cui ci dà così viva testimonianza la moglie
Giselda in un testo che ritengo fondamentale. Tenere come punto
di riferimento il mondo degli operai, dei facchini, dei carbonai,
delle mondine, di quella umanità che per dannazione di fatica
e per orgoglio del vivere sembrava essere più vicina a ciò
che gli intellettuali, stanchi di metafisiche e di ridondanze retoriche,
ritenevano fosse natura, non era che un modo per dar
respiro anche in arte a ciò che in letteratura, con Vittorini
e Pavese, e nel cinema con lepica popolare del neorealismo
sera rivelata lintuizione veramente europea della nuova
cultura italiana. La simbiosi fra uomo e natura, il senso vitale
e vibrante della materia, il pathos dellessere e del vivere
pienamente una realtà esaltante od angosciosa, ma certamente
ineludibile, furono elementi comuni di tutta la cultura italiana
fino ai tardi anni Cinquanta. A ben vedere, sia i neorealisti
che gli astrattoconcreti e gli ultimi naturalisti che costituirono
un largo fronte allinterno della cultura dellinformale,
si richiamavano allo stesso principio di realtà. Non cè
da stupirsi se Lucatello poteva trovar ragioni non minori per il
suo impegno nel misurarsi sia con la materia intesa come immagine
organica del naturale sia con i volti e le figure
di una umanità che al pari della natura sembrava recare i
segni delle ingiurie e delle offese di millenni, ma che pur viveva
e testimoniava di una possibile autenticità dellessere.
Non tocca a me, in questa occasione, esaminare le opere composte
da Lucatello in quegli anni di fervido lavoro, dato che la mostra
che qui si presenta prende le mosse dalle prime opere composte dallartista
dopo il suo distacco dalla realtà veneziana e il trasferimento
in Friuli, ma non posso esimermi dal notare che non vè
stata frattura alcuna per quanto riguarda lo specifico dellimmagine
creata da Lucatello in quanto esse sono gli antecedenti necessari
delle tele con i motivi dei greti del Tagliamento, degli alberi,
dei momenti solari e di natura. Senza dubbio le immagini materiche
degli orti e dei paesaggi di Portosecco, sono risposte straordinariamente
originali al naturalismo di Morlotti ed agli informali di Padania
amati da Francesco Arcangeli, non meno che la serie dei Tramonti
sullo stagno, dei Delta e delle Teiere. Intendo dire che sebbene
le suggestioni delle terra friulana, delle sue tonalità aspre,
lenigma delle sue luci e delle sue ombre abbiano avuto, e
non potevano non avere su un artista dalla vorace apprensione visiva
come Lucatello, un profondo effetto, pensare che questo sia stato
sconvolgente sarebbe un vero e proprio errore. Il pittore non ha
fatto altro che trovare nella natura friulana una conferma esterna,
in qualche modo perfino oggettiva, del proprio modo di immaginare
la realtà della pittura. Come sempre accade quando lartista
insegue un proprio interno fantasma, questo prende forma attraverso
un processo autonomo, anche se ovviamente non indipendente rispetto
ai dati di natura, di senso e di sentimento che agiscono e interagiscono
nel momento misterioso di creazione dellopera. Lucatello in
questo non era pittore diverso da altri che coltivano una loro gelosa
vocazione allespressione libera e forse anche libertaria.
Che il suo realismo potesse prendere le forme dellespressionismo
figurale o dellastrattoconcreto, come già avviene
a metà degli anni Cinquanta, per approdare ad esiti che riecheggiano
le alte proposte dEuropa e dAmerica proprio quando più
egli dimostra di volersi isolare, è cosa che stupisce come
stupiscono sempre i miracoli dellintuizione estetica; ma ciò
non vuol dire che sia stata stravolta o infranta quella coerenza
e quella continuità formale e linguistica che di tutta lopera
di Lucatello resta caratteristica fondamentale. Nulla qui appare
lasciato al caso o allimprovvisazione immotivata e non ci
vuol molto a comprendere che un filo neppur troppo sottile lega
in un unico discorso i già ricordati dipinti del Delta o
i Paesaggi di Portosecco, ove la materia saggruma in ritmi
violati dai toni squillanti del colore e obbedienti a una interna
pulsione, e i quadri in cui è evidente labbandonarsi
dellartista al fascino del disordine organico. Ma ecco gli
inesorabili equilibri della serie degli Alberi e dei Momenti di
natura dipinti fra il 1968 e il 1969. È come se in Lucatello,
ad una fase di forte espressività corrispondente alla dinamica
formale dellavanguardismo venturiano fosse subentrato un momento
di riflessione, di meditata sintesi, senza che ciò togliesse
forza e aggressività alla composizione. LAlbero del
1968, la cui sagoma taglia verticalmente lo spazio della tela definendone
le partizioni volumetriche è una immagine icastica e nello
stesso tempo profondamente commossa. Emerge da un magma materico
di fondo in cui cominciano ad organizzarsi le forme vaganti
come di un Arp dalla sensibilità più dilatata
che sembrano staccarsi anche dal tronco bituminoso di un altro dipinto
con Albero dello stesso anno, per poi liberarsi nel canto atmosferico
dei Momenti di natura. Un canto che si ripete, con laccentuazione
del bagliore cromatico di fondo, in Terra del Friuli dello stesso
anno e Dialettica di una dimensione in cui la materia si disperde
in luce e in atmosfera, ad eccezione di certi residui grumosi che
resistono allinterno del vortice cosmico. Eppure, proprio
nello stesso momento in cui dipinge le sue opere di più indefinibile
confine, lartista compone quadri serrati, ove ogni tensione
è ricondotta entro il limite costruttivo che determina limmagine.
Così ancora del 1969 sono le sintesi bloccate di Terra del
Friuli: dialettica uomonatura e Tramonto, ove la fascia centrale
si costruisce sullo sfondo, nel limite di bagliori solari, che recano
essi stessi ombra e peso di terra. Più evidente è
questa dialettica fra ricercata centralità dellimmagine
e la tensione al suo frantumarsi in luce se si considerano i Momenti
solari ove la materia è essa stessa forma dello spazio, momentanea
concrezione cromatica sempre in procinto di mutare stato. Si mettano
a confronto queste tele con le opere dello stesso titolo ove limmagine
in vortice è imprigionata nel limite del circolo o giunge
a placarsi fino a diventare segno puro, memoria plastica, vertigine
fiammeggiante anche nel monocromato per uno sconvolgimento consumatosi
ab aeterno nella dimensione dello spaziomateria. Sono, questi,
fra i dipinti più assoluti di Lucatello, immagini senza tempo
e senza luogo possibile, ma di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Forme dello spaesamento poetico.
Non sarò io a negare il legame strettissimo che Renzo Viezzi
con linguaggio che rievoca e poeticamente riflette cose viste e
sentite in consonanza nelle opere di Lucatello e nelle ombre, nelle
luci, nei colori della memoria friulana istituisce fra molti di
questi dipinti e situazioni concrete dei giorni, delle stagioni,
degli umori del pittore che si trova a lavorare di fronte, anzi
dentro al mito della natura. Ma proprio perché ciò
è stato scritto con tanta limpidezza da chi ha potuto seguire
da vicino lartista al lavoro e tenendo conto del fatto che
questa stessa mostra ripete lomaggio di Lucatello al Friuli
e alle sue magie, mi sarà consentito di raccogliere, dallo
scritto di Viezzi, la preziosa indicazione che lo studioso ci dà
riferendosi ai già ricordati dipinti sul tema dellAlbero.
Si trascorre fatalmente dal particolare al generale, dal realismo
allastrazione lirica proprio perché, scrive Viezzi,
nei dipinti di Lucatello in questo momento (ma già prima
il processo era avvertibile) "sta montando un presagio di struttura
portante, una organicità demozione che empirà
la tela di un cielo più grande e di lì a poco si farà
essa stessa natura". Ebbene, se per natura di Lucatello si
intende questo dare organicità, evidentemente formale, allemozione,
anzi questo processo di strutturazione si identifica con la natura
stessa, ecco che il cielo più grande viene a coincidere col
finito senza luoghi e senza confini dellarte. Per cui ha veramente
ragione Viezzi quando scrive che Lucatello consuma il Friuli.
Anche Bruno Rosada, del resto, nella sua bella analisi della vicenda
pittorica e umana di Lucatello, pur restando fermo al concetto che
il periodo friulano ha una sua determinante diversità rispetto
a quelli precedenti, legge come una costante prevalente nellartista
la ricerca formale, vissuta in una dimensione sperimentale.
Io credo che questa componente vi sia sempre stata nel pittore veneziano,
anche quando il formalismo poteva in qualche misura apparire colpevole
ad un artista sinceramente impegnato nella battaglia sociale e politica.
Ma si sa che non è necessario in arte che lartista
abbia coscienza critica, razionale, delle motivazioni che lo muovono
perché queste motivazioni emergano nellopera. Mi permetto
di porre in dubbio lopinione di Rosada che fa scaturire da
esigenze rappresentative e allusive maturate da Lucatello
nel rapporto con la terra friulana e in particolare con i luoghi
del Tagliamento, quelle esigenze di natura formale che solo ora,
scrive il critico, cominciano ad affacciarsi nella pittura
di Lucatello. Parrebbe esser maturato soltanto ora ciò
che Lucatello deve invece aver saputo e sentito da sempre e cioè,
sono ancora parole di Bruno Rosada, "la convinzione che attraverso
la composizione può passare il messaggio, che lanalisi
della materia può concretarsi anche attraverso un discorso
di organizzazione della forma". Se non fosse per la necessità
di chiarire che Lucatello è realista o naturalista solo in
quanto nel suo lavoro forma e realtà, natura e metafora simbolica
sono indistinguibili fin dallinizio, non vi sarebbe molto
da aggiungere alle analisi pubblicate in occasione della mostra
del marzoaprile 1986 alla Bevilacqua La Masa da Giselda Lucatello,
Bruno Rosada e Renzo Viezzi. Lucatello, come tutti gli artisti veri,
ha in sè la propria dimensione, i propri luoghi, il proprio
spazio. Sono questi fantasmi a prender forma, e attraverso la forma
a divenir concreta realtà come cose della pittura che (la
tesi è antichissima) si aggiungono a quelle di natura come
una nuova esistenza e una nuova essenza e vengono a completare il
mondo delle nostre sensazioni e delle nostre visioni.
Quindi non realismo, se questo è inteso in termini di tendenza;
non astrattismo se con ciò sintende mera esercitazione
estetica che pretenda prescindere dallinfinito aggregarsi
e disgregarsi di ciò che chiamiamo evidentemente per qualche
ragione materia.
Lucatello ci rivela dimensioni nuove, cosmiche e terrene, del nostro
essere e del nostro esistere e il vorticar della luce in un sole
abbacinato, il suo distendersi senza limiti nella visione di un
campo di grano o lincupirsi duna zolla nerissima non
sono che metafore delleterno mistero che i rituali dellarte
ci rivelano senza dissipare le ombre dellenigma che tutti
ci avvolge. Quando Lucatello intitola uno dei suoi dipinti più
inquietanti e impenetrabili Terra: rapporto uomonatura sembra
voler dare immagine il più possibile semplice, fisica, della
sostanza di un rapporto dialettico che si mantiene vivo solo in
quanto non può irrigidirsi nella risoluzione di uno dei due
termini nellaltro, non può oggettivarsi se non attraverso
quel processo di soggettività dispiegata che è lopera
di poesia. Così i dipinti di Albino Lucatello, queste grandi
parabole dellimmaginario che soltanto con limmaginazione
possiamo penetrare e che sono in realtà impercorribili quanto
i sogni o le vie della memoria, restano soprattutto testimonianze
tangibili di una impossibilità. Essi si rivelano una contraddizione
in atto se si tenta di darne spiegazione razionalistica e non ci
si avvicina alla loro realtà, alla loro natura con lo stesso
animo e la stessa umiltà che ci prende quando siamo assorti
in contemplazione di qualcosa dineffabile. Nonostante tutti
i tentativi di decodificazione, che possono essere condotti anche
sui quadri di Lucatello, ciò che nellopera resiste
è laura, sempre che lartista sia riuscito a crearla
a difesa e come a sostanza segreta della propria immagine. Non cè
bisogno di esser formalisti per accorgersi di un fatto sul quale
si fonda e per il quale solo si spiega la irrepetibilità
dellopera darte anche nellepoca della sua riproducibilità
tecnica. Ebbene Lucatello costruisce appunto quadri che sono concretizzazioni
dellaura, di quel senso indefinibile che avvolge le cose e
le rende verissime ed irreali insieme. E anche adorabili,
se a questo termine si dà il significato che può suggerire
quel sentimento di laica religiosità che lartista esprime
e che lo spettatore avverte di fronte allopera di poesia.
Come per tutte le immagini investite dalla religiosità, si
può ipotizzare anche per quelle di Albino Lucatello una traduzione
in simboli convenzionali, una parafrasi in termini di linguaggio.
Così, dopo i chiarimenti e le avvertenze di cui ho cercato
di dire nella prima parte di questo scritto, si potrà anche
ritornare a vedere come elementi costitutivi, essenziali ma non
determinanti dellopera, i greti del Tagliamento, gli alberi,
gli sterpi, le forre, il fango, il legno annerito, le concrezioni
materiche, i cieli, le albe e le notti del Friuli, ma trasfigurati
in un processo di sublimazione che è evidentissimo nei Musi,
ove è la materia ad essere negata, a dissolversi in pura
luce.
A questo punto sarà forse opportuno chiarire in quale chiave
vada letto il naturalismo, o lultimo naturalismo, di Lucatello
e in cosa esso differisca da quello di Padania, terragno e corposo
almeno nella intuizione prima dei maestri, da Morlotti a Moreni.
Ciò che nella tradizione lombarda è fondante peso
di materia e sentore di natura che negli emiliani si trasforma in
sapore di zolla tumida ed aspra, in questo pittore veneto si concretizza
e insieme si smaterializza in luce, in atmosfera.
La grande lezione degli antichi e quella moderna di Virgilio Guidi,
un artista che Lucatello ha evidentemente amato molto e che ha profondamente
compreso, specie nel momento delle esperienze dei bianchi
su bianco e delle grandi composizioni sul tema degli alberi
ci appare profondamente assimilata nelle opere del 1969, ma diventa
elemento impossibile da disconoscere quando si osservino i Paesaggi
degli anni Ottanta in cui cantano azzurri straniti, verdi di trasparenza
squisita, gialli solari come quelli dei Campi di grano dellultimo
periodo di lavoro dellartista. A questo punto Lucatello ha
compiuto il suo viaggio attraverso larte contemporanea, ha
assimilato ciò che poteva assimilare dai grandi, da Picasso
a Rothko, a Wols a Tàpies a Fautrier, fino ad Hartung con
il quale spartisce la straordinaria capacità di far colore
col nero: da tutti quelli, insomma, che egli poteva sentire come
congeneri. Chi può contestare il valore illuminante di una
ricerca di riferimenti, di assonanze, di connessioni fra lopera
di Albino Lucatello e quella dei maestri ai quali, per esplicita
testimonianza dei critici che gli furono vicini, e delle opere stesse,
lartista si senti per molti versi legato? Come non pensare,
per esempio, che i fantastici mondi di Klee si siano venuti nelle
sue tele dilatando fino a farsi, come in Wols, esplorazioni di segrete
regioni dellanimo umano.
O che il vuoto, il tutto bianco di Tapies non abbia trovato il suo
contraltare, fuori cioè dalla provocazione nichilistica,
nelle grandi superfici ove Lucatello impasta e fa esplodere la materiasegno?
Ed ecco, proprio per questa apprensione totale, cosmica dellessere,
Lucatello può anche negare allopera ogni storicità,
ogni riduzione al quotidiano. Come Rothko. Nello stesso tempo nelle
sue opere si esalta lenergia pura del gesto che si fa segno
ed espressione, come in Hartung o sammala nella angoscia,
nel pathos embrionale della ma-teria di Fautrier. Altre connessioni
potrebbero essere trovate, lo dicevo allinizio.
Lopera di Lucatello è infatti unopera in
dialogo con tutte le immagini estetiche e non estetiche
che saffollano nel caleidoscopio del visionario sociale
ed è questo che là rende così ricca di implicazioni,
di sottintesi, di verità palesi e suggerite. Si può
sprofondare nellenigma dei suoi neri, dei suoi verdi; delle
sue luminosità saturnine che promanano dai recessi profondi
della materiapittura; ci si può sentire investiti,
al contrario, dalle solari rivelazioni dei gialli e dei rossi fermati
in improvvisa vertigine sulla tela, quasi che Lucatello fosse riuscito
a riportar calore di vita agli antichi soli morti della metafisica
mediterranea; Si può rileggere lenfatizzazione spaziale
del segno primario di Capogrossi (o ancora di Hartung?) nelle sintesi
stupende degli Ostacoli. Infinite altre connessioni reca in sè
la pittura di questo artista moderno e antico insieme, per il quale
potrebbe avere senso singolare laffermazione di Valery che
il più profondo è la pelle. Le tessiture
lievi di superficie sono infatti in Lucatello tramite di misteriosi
messaggi provenienti da un profondo che è in noi e che diviene,
nellarte, superficie: segno e vibrazione in atto, metafora
di un enigma.
Si può forse affermare che allaprirsi degli anni Settanta
Albino Lucatello aveva già creato la propria, irripetibile
immagine. Tutte le opere che da quel momento seguiranno non dovranno
essere considerate altrimenti che la prosecuzione, spesso serena
e felice, come accade nei dipinti di Fiori o in certe fantasmagorie
degli appunti daprés nature, di una ricerca che anche
nei momenti dangoscia più cupa resta caratterizzata
da un atteggiamento fidente, straordinariamente creativo. Si tratta
di uno dei rarissimi casi in cui un artista si può dire abbia
espresso il suo modo di essere e di patire la sua singolare verità
esistenziale non avvalendosi della pittura, ma vivendola.
Per questo non sentiamo gli Ostacoli, i Greti, i Momenti di natura,
i Gelsi, i Soli, i Fiori soltanto come frutto di un modo di vedere,
di una riflessione emotiva e teorica sulle cose. Essi sono quelle
cose e noi possiamo per la loro valenza artistica averne nozione
diretta. Quando Giselda Lucatello scrive che nei quadri dipinti
dopo la tragedia del terremoto che colpì il Friuli il pittore
volle riaffermare la gioia della vita, intende probabilmente dire
che il dipingere e il vivere erano per Lucatello la medesima cosa
e non meraviglia la bramosia con cui, negli anni ultimissimi, egli
cerca nelle tele spazi sempre più ampi e nella natura visioni
sempre più dilatate dalla luce, segreta energia della materia
davvero vivente e infinita.
Quando si ha coscienza dellinfinito è più facile
comprendere ciò che dellinfinità partecipa in
quanto cosa, oggetto, paesaggio, situazione, persona. Albino Lucatello,
sempre fisso più alla sua realtà che non a quella
rappresentata nel linguaggio irrigidito in moduli stilistici, può
anche ritrovare le forme antiche del popolare per comprendere
la tragedia del terremoto, più che per descriverla. Per la
stessa ragione i ritorni di Lucatello, specie quelli
stilistici, non sono che modi di un atteggiamento univoco che continuamente
si conferma attraverso limmagine del movimento e della diversità.
Vorrei che quella di Lucatello fosse considerata sì unarte
che, come gli uomini, "nasce ad ogni istante" perché
esiste da sempre e per sempre. Il discorso della durata dellopera,
se lo si conduce al di fuori delle strettoie del sociologismo corrente,
si regge infatti nella presunzione di una infinità in cui
ciò che chiamiamo tempo è energia che scorre da se
stessa a se stessa.
Di essa possiamo dare immagine estetica, astratta e metafisica,
o immagine dinamica altrettanto sublimata. Lucatello è metafisico
anche quando la materialità pittorica prende toni volutamente
insistiti e i frammenti di natura trovata (i sassolini
dei greti) assumono la funzione di parti costitutive della natura
inventata che dellarte è propria. Religiosità
e misticismo possono ben riconoscersi in questo atteggiamento dapprensione
totalizzante e che la cosa non sia illegittima lo dimostra il fatto
che in anni lontani Diego Valeri, presentando le opere di Lucatello,
ne abbia proprio sottolineato il senso mistico e la sospensione
in una attesa forse inconsciamente religiosa. Ciò
è tanto più verificabile quanto più il pittore
si misura con la materia, la cerca e la trasforma in energia estetica,
in qualcosa, cioè, di eminentemente spirituale. Licio Damiani,
in occasione di una personale tenuta da Lucatello a Udine nel 1967,
aveva già sinteticamente riassunto quel che io mi limito
a riaffermare in questa occasione. Scriveva di "un impegnativo,
faticoso lavoro di purificazione della materia, per renderla il
più possibile limpida e universalizzata", per sottrarla
cioè al peso di quella natura di cui Lucatello cerca lessenza
prima, lanima incombusta fra le ceneri e i bagliori del presente.
Naturalmente sottolineare ciò che vi può essere di
spiritualistico nellopera di Lucatello può sottintendere
la convinzione che in me in verità è fortissima
che egli sia stato persona non priva di qualche vocazione
allascetismo, se a questa parola si dà il significato
suggerito dal vecchio Tommaseo il quale diceva che essa si conveniva
al monaco come allatleta.
Perché non potrebbero dirsi frutto di una tensione allineffabile
quei Soli che un altro pittore di lunga frequenza veneziana, Bruno
Saetti, pose a simbolo di una, possibile metafisica del quotidiano
e di una ricerca dascesi forse impossibile, ma necessaria
nel momento della degradazione dogni cosa e pensiero ad oggetto?
Ho avuto lunga consuetudine con il pittore bolognese che cercava
nelle luci dacqua di Venezia qualcosa che sapesse resistere
alla dissoluzione, resistere anche come materia. Ho avuto la fortuna
di frequentare per molti anni e di lavorare con un altro maestro,
Virgilio Guidi, per il quale se natura e spirito potevano coincidere,
naturalismo e spiritualismo erano parole prive di senso. Non credo
di tradire la memoria dei due grandi pittori scomparsi; così
diversi e pur così vicini nellessere entrambi artisti
dautentica elezione, con laffermare che essi furono
ascetici in quanto videro nella natura la spiritualità stessa
e cercarono di adeguarla con larte, attraverso il veder
visionario che partecipa sempre un poco della sacralità
o di ciò che vogliamo intendere con questa parola. Non diversamente
vide la natura Giorgio Morandi, il pittore dellumile Appennino
bolognese, delle piccole, banali cose del quotidiano: colte nella
loro concretezza e nel contempo sentite come partecipi delluniversalità
dalla dimensione metafisica. Il "faticoso lavoro di purificazione
della materia per renderla il più possibile limpida e universalizzata"
di cui scrisse Damiani nel testo su Lucatello che ho prima ricordato,
non è diverso nellimpegno da quello che mosse, magari
partendo da premesse del tutto diverse, i maestri del tono e della
luce dai quali la nostra cultura, dico la cultura della vecchia
Europa, non può prescindere. Non voglio con questo dire che
Lucatello, così pronto a gettarsi nel vortice del gesto creativo,
sia o possa definirsi pittore morandiano. Dico soltanto quel che
ho ripetuto molte volte a proposito del maestro bolognese e cioè
che esiste una condizione Morandi ineludibile per chi
senta lurgere di istanze metafisiche nel gran mare del quotidiano
e per chi sappia intendere la realtà come luogo di valori
che per essere profondamente umani trascendono ed insieme esaltano
lindividuo, la sua profonda, mistica terrestrità. Larte
non ha mai dato altra immagine che questa ed è, lo ripeto
ancora, immagine sublimata quanto più narra delluomo
vero, delle cose di natura grevi e corpose: gli sterpi e i sassi
del Tagliamento, le pietre tormentate di Venezia, la terra povera
di Grizzana o del Friuli, le nere meteoriti rovinate dagli spazi.
Lucatello ha però portato al color bianco, rendendola rovente
e infuocata, una immagine di natura che non avrebbe sfigurato fra
le più alte dello spazialismo del quale imprende un processo
di depurazione alchemica giungendo a rispondere, con i Momenti solari,
al più insinuante e sottile Lucio Fontana, così come
in certe composizioni in cui lassunto è la Dialettica
uomonatura finisce per toccare i toni dellangoscia che
il Fautrier degli Ostaggi aveva rivelato allarte europea.
Ma se al confronto di Fontana Lucatello rivela meno propensione
per leleganza compositiva e per il distacco formale intesi
come fine di unarte disinteressata fino allautonegazione
(che puntualmente verrà poi teorizzata nei modi della morte
dellarte e della pittura di pennello), rispetto a Fautrier
rimane in lui vivo il senso gioioso dellessere, magari umiliato
e sconfitto. Il vitalismo insopprimibile lo colloca in un ambito
di cultura a cui appartiene, per esempio, Mattia Moreni con le sue
creazioni luciferine e il Burri delle combustioni più drammatiche.
Ritorniamo cioè allarea dellUltimo naturalismo
di Arcangeli, che teorizzava la natura come pulsione negandola come
immagine di un conoscibile finito.
I Momenti di natura dipinti da Lucatello prima di giungere alla
ferma sintesi degli Ostacoli, sembrano trovar ragioni in quella
poetica che nella estensione totale di Francesco Arcangeli comprende
anche Pollock.
È significativo che gli Ostacoli precedano di pochissimo
e si accompagnino con altri Momenti di natura non meno fortemente
strutturati, per giungere ai quali non deve essere stata di poca
importanza per Lucatello una documentabile esperienza di rilettura
di Picasso approdata alle fantasie di certi Notturni. Qui si tende
e cerca spazio limmagine erotica che anticipa il periodo felice
dei Fiori, dei Gelsi, delle nuove Dimensioni uomonatura composti
sul finire degli anni Settanta. Non riesco a vedere negli Ostacoli
quel senso del dramma che altri hanno sottolineato, né mi
interessa molto la valenza simbolica che queste composizioni impeccabili
possono aver avuto per Lucatello. Certo è che poche volte
artista si è rivelato più sicuro nel creare la propria
immagine come un assoluto formale ove se cè dramma
è dramma concluso, tutto interno allopera che serge
in una classicità superba. Vi sono, è vero, Ostacoli
ove la tensione è portata allo scoperto, dichiarata, e toni
funerei, di buio temporale, incombono come una dannazione. Ma io
ritengo che Lucatello sia più autenticamente se stesso quando
dimostra di saper dominare i tumulti propri e quelli dellimmagine,
quando cioè raggiunge quella misura di clas-sicismo che è
il naturale sbocco dellascesi estetica ed artistica. Ebbene
ciò avviene proprio con quelle composizioni che sembrano
erette da Lucatello come Ostacoli contro le vocazioni al disordine
che si riaffacciano dopo la tragedia del terremoto del 1976.
Non vorrei sopravalutare i dati della biografia dellartista,
ma a me sembra sintomatico che a quello che ho definito il momento
di più deciso classicismo di Lucatello, il periodo degli
Ostacoli, corrisponda la disponibilità dei grandi spazi dello
studio di Vendoglio e il primo, consapevole convincimento di una
raggiunta serenità. Convincimento che il terremoto verrà
crudelmente a infrangere. Lucatello dovrà allora ripercorrere
le fasi dellantica passione, in negativo e in positivo, alternando
laffondo nei grumi nerissimi della materia alle illuminazioni
e agli aperti entusiasmi pittorici delle visioni di natura e dei
Fiori più splendenti, delle sinfonie di verde, dei gialli
abbacinati dei Campi di grano. Ma si veda in quale misura spaziale
sono tenute ora le immagini, anche quelle di maggior sensualità
organica come Natura del Friuli del 1978 e licastico dipinto
Dialettica uomonatura dello stesso anno, di proprietà
della Galleria dArte moderna di Udine e che qui viene riproposto.
La misura è quella degli Ostacoli più fortemente strutturati
e lo spazio, in cui limmagine più che collocarsi si
crea determinandosi e determinando limmagine totale del quadro,
è lo spazio classico della tradizione mediterranea in cui
si ripetono le presenze rituali del nero e dei bianchi impastati
in immemorabili calcine. Lesperienza dei Musi tenderà
a ritrovare nuova vita e nuove vibrazioni di senso anche oltre questa
raggiunta misura di classicità e, obbedendo al consueto intento
dialettico che impone a Lucatello di non irrigidire mai lopera
su uno schema linguistico raggiunto, ma di rimettersi sempre in
discussione, lartista infrange le solide sbarre degli Ostacoli
raccogliendone i luccicanti frantumi nello impalpabile sfolgorio
atmosferico e cromatico dei Musi ove vibra il sapore di roccia,
di terra e di soli inquinati. A questo punto io non ritengo fosse
ingiustificata la preoccupazione espressa da Berto Morucchio nel
testo di apertura di una pubblicazione monografica su Lucatello
edita dalla Galleria darte Venezia. Dopo unanalisi finissima
della vicenda del pittore, dagli esordi fino a quelle opere che
giustamente gli ricordano i monocromi di Fontana e di Yves
Klein ma con più peso e senso di natura, Morucchio
cerca di togliere lidea che lartista tradisca questo
suo amore per il concreto invitandoci in un eliso delle essenze:
il che è proprio ciò che Lucatello in quel momento
sta facendo col rendere sempre più essenziale quella pittura
che egli sente come natura pura, ma ricomposta in un atto estremo
damore fisico: lo stesso che lo porta, ricorda la moglie Giselda,
ad accartocciare le tele per sentirne il palpito sotto il
colore.
Al termine della sua stagione Lucatello sente insomma il bisogno
di una dimensione totale, in cui tutto possa essere espresso. I
Musi, testimonia ancora la sua compagna, sono per Lucatello il "grande
progetto dove ancora una volta racchiude il tutto della sua pittura":
un progetto classico, teso alluniversalità metafisica,
al silenzio antico e meraviglioso della pitturapittura. |
|
Dal Catalogo della mostra alla
Galleria dArte Moderna di Udine, 14 maggio / 31 luglio 1988
Franco Solmi
|