Albino Lucatello
(quarantatre anni), nato a Venezia, trapiantato a Tarcento, insegna
allIstituto dArte di Udine, nella mostra ha quattordici
tele alle pareti e tre sul soffitto di una sala tutta bianca di
tela, così arredata appositamente per ospitare le opere che
appartengono decisamente a quella corrente che il suo fondatore,
Lucio Fontana, battezzò "spazialismo": grandi tondi
o quadrati, o rettangoli tutti bianchi, o tutti rossi aragosta e
tutti verde bottiglia: sui fondi e dello stesso identico colore
sintrecciano strani e sibillini ghirigori, cordoncini di pasta
di colore di sezione circolare e del diametro delle bocche dei tubetti
dai quali vengono direttamente strizzati sulla tela. Sistema non
certo nuovo, anzi, e il cui effetto visivo dipende dal modo col
quale i dipinti sono investiti dalla luce, cioè dalla forma
e dallintensità delle ombre portate dai rilievi. Anche
in questo caso viene fatto di parlare di decorazione, cioè
di un qualche cosa che deve funzionare insieme allambiente
architettonico, un qualche cosa che si prefigge di dare movimento,
vibrazione, vita a pareti e soffitti. Mentre lastratto di
Baldan ha la logica della razionale figura geometrica, questo di
Lucatello sembra abbandonato allirraziocinio gestuale, anarchico
sul piano dei significati sia palesi che nascosti e sembra altresì
ancora in fase sperimentale che nemmeno cerca una conclusione nel
senso comunemente accessibile. |
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da Il Piccolo,
24 aprile 1970
LUCATELLO
di Arturo Manzano |