Fino al 13 aprile
(orario 9.3020, martedì chiuso), la Galleria della
Fondazione Bevilacqua La Masa presenta una bella retrospettiva dedicata
allopera pittorica di Albino Lucatello.
La mostra parte da alcuni disegni (ritratti di un forte impatto,
realizzati dal 1949 al 1955) che dimostrano la base accademica dell'artista
e la sua iniziale adesione al realismo socialista. Subito dopo,
sulla scia delle polemiche che per anni seguirono la costituzione
del Fronte Nuovo delle Arti e la spaccatura tra militanti
comunisti nei due spezzoni del realismo e dellinformale,
Lucatello sceglie d'istinto lindirizzo liberatorio e comincia
a scaricare sulla tela le sue forti pulsioni, prendendo a pretesto
elementi di paesaggio urbano. (Tetti di Venezia, Orti a Portosecco)
dapprima strutturati in residui reticoli grafici alla Gambino, in
seguito più gestuali e materici.
Da questo momento siamo nel 1958 lopera di Lucatello
è tutta tesa a restituire il rapporto tra spazio e materia,
allequilibrio naturale. Appaiono talvolta frammenti figurativi
(le Teiere, i Delta), tuttavia risultano costantemente minacciati,
assorbiti dal magma cromatico che invade la superficie del dipinto
stabilendo nuovi, miracolosi equilibri di forte tensione emotiva
tra zone aggettanti e fondi piani, come in altorilievi plastici:
leco di Burri e di Bill Condon è chiara, ma non prevalente.
È questo, fino al 1962, il periodo migliore: le sue opere
varcano l'oceano, sembra destinato a spiccare il grande salto di
qualità. Ma, improvvisamente, viene circondato da silenzi,
in parte dovuti alla sua militanza politica in parte a invidia e
al clima di restaurazione che comincia a serpeggiare nell'ufficialità
culturale e nella pubblicistica veneziana.
Lucatello scappa in Friuli, dove la sua pittura inopinatamente cambia:
luso del diluente tempera i forti cromatismi in effetti dacquerello
(Paesaggi di Buja). Cè un qualche intenso ritorno alla
gestualità (i Tagliamenti, gli alberi), ma si registra anche
una maggior propensione a guardare altrove, a farsi influenzare
contemporaneamente dal tachisme, dall'astrattismo lirico,
dall'accumulazione cromatica e ancora da Burri (1969).
Bisogna chiudere la lunga parentesi dellavventura materiacolore:
alla fine del vicolo c'è la tela intatta o riempita di blu
di Klein.
Lucatello allora trova un grande studio in campagna e trasferisce
i suoi Ostacoli (strutture segniche) su enormi tele. Sembra lavvio
di un nuovo, importante paragrafo: ma il terremoto del 76
spazza via tutto ed è linizio di una lunga, nobile
discesa verso la fine. Ricominciano le influenze (Picasso per i
notturni e Licata per Uomo natura del 78), la gestualità
si fa sempre più trasognata (Sole, Gelsi) con brevi ritorni
di forte intensità (le opere a soggetto sessuale), fino al
placido approdo lirico dei Campi di Grano, dei paesaggi friulani
(i Musi) adottati a manifesto della mostra, una scelta
infelice perché quell'opera struggente è la dimostrazione
della resa di Lucatello: c'è ormai solo il ricordo del gesto
forte, materia e colore i suoi Numi sono domati e
sconfitti).
Non sono daccordo con quanto afferma Giselda Lucatello nella
biografia, pubblicata nello splendido catalogo: secondo me, quando
Albino scompare, nellautunno del 1984, non è vero che
il suo era un discorso per nulla concluso. Così
come non condivido laffermazione di Bruno Rosada autore
del saggio critico secondo cui Lucatello appartiene a un
milieu locale, più che allastrattismo europeo: per
il periodo doro sopra indicato è vero il
contrario. E, tanto per gradire, trovo fuorviante la conclusione
di Renzo Viezzi sul tema del rapporto Uomo-Natura: Lucatello
pittore veneziano amò con forza e subito le verdi terre friulane
.
No: Lucatello subì lesilio nelle verdi terre friulane,
perché Venezia non laveva meritato. |
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da La Nuova Venezia,
marzo 1986
Alla Bevilacqua La Masa una retrospettiva dellartista
LUCATELLO LESILIATO
di Franco Batacchi |